Il palco della protesta
Nel 1857, alla rappresentazione d’onore organizzata per rendere omaggio all’Imperatore Francesco Giuseppe in visita alla città di Milano, una piccola messa in scena di patriottismo si consumò all’interno del palco n° 11 del II ordine destro: il conte Massimiliano Cesare Stampa dei marchesi di Soncino (1825-1876), per spregio e protesta alla corte straniera, rimase seduto e con la schiena voltata ai sovrani che facevano il proprio cerimonioso ingresso nel teatro. Venne arrestato e condotto forzatamente a Bormio.
Ma la storia del palco era iniziata molto tempo prima, con altre vicende e altri personaggi.
Nel 1778 fu proprietà del tesoriere militare della Lombardia, il marchese Giuseppe Antonio Molo (1729-1796), famoso allora da Milano a Roma non tanto per le sue cariche politiche, quanto per le disavventure private di un matrimonio da annullare, secondo la causa intentata dalla moglie Marianna Grassi Varesini dopo 12 anni di convivenza “ex capite absolutae perpetuae impotentiae”. E il Verri così lo aveva stigmatizzato: “un Ercole che invece che allegare dei fatti cita degli autori”.
Già prima della morte del tanto discusso marchese, nel 1790, il palco risultava intestato al conte Antonio Lucini Passalacqua, decurione della città di Como ed esponente della nobile famiglia comasca che aveva unito i due cognomi già nel XVI secolo.
Ad eccezione del periodo napoleonico, quando subaffittava questo ed altri palchi Giuseppe Antonio Borrani, caffettiere e faccendiere, la proprietà Lucini Passalacqua si mantenne continua fino al 1834, quando venne rilevata dalla famiglia degli Stampa di Soncino, e in particolare dal conte Carlo Basilio (1796-1874). Vissuto per “esercitare la carità” - come ricorderà nell’epitaffio lo stesso nipote - il conte Basilio era il terzo figlio di Massimiliano Giovanni Stampa e Carlotta Gonzaga, dopo Massimiliano Giuseppe <2.> (1790-1834), e Giovanni (1791-1847), rimasto celibe.
Non avendo avuto figli dal matrimonio con Francesca Spinelli, il conte Basilio passò ben presto il testimone del palco ai nipoti: Massimiliano Giovanni Rinaldo (1816-1858), figlio del primo matrimonio del fratello Massimiliano Giuseppe con Luisa Grisi Barbiano di Belgiojso d’Este, e in seguito al fratellastro di quest’ultimo, Massimiliano Cesare (1826-1876), il già citato patriota, figlio in seconde nozze di Teresa Palazzani, che detenne il palco fino alla morte. Arrestato già all’epoca della prima guerra d’indipendenza, nel 1848, per ordine del viceré Radetzky, sospettato di collaborare con i rivoluzionari, il conte Massimiliano Cesare era riuscito ad evadere dalla prigione di Lubiana dove era stato rinchiuso e a unirsi durante la fuga all’esercito di Carlo Alberto, come tenente dei cavalleggeri. Fallita la rivoluzione, venne costretto agli arresti domiciliari ma durante la seconda guerra di indipendenza appoggiò da Milano l’avanzata di Vittorio Emanuele II; da questi fu nominato colonnello della seconda legione della Guardia Nazionale e quindi anche ufficiale dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e della Corona d’Italia. Insieme alle coraggiose avventure politiche, il conte coltivava più ’innocue’ passioni, come quelle per la floricoltura - tante le esposizioni che lo videro giudice - o quella per i cavalli, che lo portò a fondare la prima associazione nazionale di allevatori di cavalli da corsa. Sposato con la contessa Cristina Morosini, non ebbe figli e alla sua morte, ultimo della sua casata, lasciò titoli e sostanze al piccolo nipote Camillo Casati e una cospicua donazione di quadri e opere preziose alla Pinacoteca di Brera.
La storia del palco prosegue con un nuovo proprietario dal 1875, il barone Emilio Vitta, esponente di spicco della comunità ebraica piemontese, per concludersi poi, dal 1902, con il rinomato avvocato Pietro Volpi Bassani. Questi, impegnato attivamente nella vita della città, aveva fatto erigere l’omonima galleria, poi abbattuta, dove tutt’oggi si trova la centrale Piazza Diaz. Il cavaliere aveva inoltre partecipato economicamente ai lavori di ristrutturazione del Castello Sforzesco: in memoria della moglie Alessandrina aveva pagato il restauro della leonardesca Sala delle Asse. Fu testimone e protagonista di uno dei momenti cruciali o quanto meno significativi nella storia del teatro scaligero: dopo il referendum del 1901 per esprimere un parere “se il comune abbia a concorrere nelle spese di esercizio del teatro alla Scala”, l’impopolarità dell’istituzione presso la maggioranza della cittadinanza milanese aveva costretto da una parte il Comune alla riduzione della dote a 60.000 lire annue e dall’altra un gruppo di privati cittadini a costituire una Società anonima per l’esercizio del Teatro alla Scala con presidente Guido Visconti di Vimodrone e come consiglieri Ettore Ponti, futuro sindaco di Milano, Luigi Borghi, Luigi Erba e appunto l’avvocato Volpi Bassani.
Di lì a poco le istanze di una nuova società avrebbero costretto a un riassetto del sistema produttivo e del mercato dell’arte, in cui il teatro d’opera avrebbe perso la propria centralità, tanto musicale quanto sociale, e reso anacronistico il sistema di proprietà dei palchi che infatti trovò il suo esito nel 1920 nell’esproprio dei palchi da parte del Comune e nella costituzione dell’Ente autonomo Teatro alla Scala.
Maria Grazia Campisi (M.G.C.)
Proprietari
- Borrani, Giuseppe Antonio ImprenditoriImprenditori1809
- Confalonieri Belcredi, Marianna Nobili, BenefattoriNobili, Benefattori1810
- Lucini Passalacqua, Andrea NobiliNobili1790|1793-1796|1813-1815|1817-1833
- Molo, Giuseppe Antonio Nobili, MilitariNobili, Militari1778-1784|1787-1789|1791-1792
- Stampa di Soncino, Carlo Basilio NobiliNobili1834-1843
- Stampa di Soncino, Massimiliano Cesare Nobili, PatriotiNobili, Patrioti1860-1874|1877
- Stampa di Soncino, Massimiliano Giovanni Rinaldo NobiliNobili1844-1848|1852|1856-1859
- Vitta, Emilio Nobili, Imprenditori, BenefattoriNobili, Imprenditori, Benefattori1875-1876|1878-1898
- Volpi Bassani, Adele Alessandrina BenefattoriBenefattori1899-1900
- Volpi Bassani, Pietro ProfessionistiProfessionisti1901-1920