Teatro Alla Scala di Milano

Isimbardi e Borromeo d’Adda tra politica e beneficenza

Palco n° 18, III ordine, settore destro
5
Uomini
5
Nobili
1
Patrioti
2
Benefattori
1
Militari

Proprio negli stessi anni in cui veniva progettato il nuovo Teatro alla Scala, la famiglia Isimbardi, di antico patriziato pavese, si trasferiva a Milano, acquistando dai Lambertenghi nel 1775 il palazzo in corso Monforte, all’angolo con via Vivaio, in quella zona che – come testimonia il nome stesso della via – era considerata il giardino di Milano. I marchesi Isimbardi, di antica casata pavese e da poco ammessi nel patriziato milanese, arricchirono il patrimonio artistico della prestigiosa dimora, laddove anche Tiepolo aveva lavorato, lasciando un affresco ancora oggi ammirabile. Il palazzo, rilevato dopo alterne vicende negli anni ‘30 del Novecento dalla Provincia, sarebbe divenuto la sede principale della Città metropolitana di Milano.
Primo membro della famiglia ad occupare un palco scaligero, dal 1778, fu Gian Pietro Camillo Isimbardi (1740-1813), che rivestì importanti cariche politiche anche sotto il governo di Napoleone e che fu uno dei pochi aristocratici a conservare continuativamente il palco anche nel periodo francese. Abile e ambizioso, aveva reso il proprio palazzo un centro di studi e raccolte scientifiche di ampia risonanza, dotato di una biblioteca, tuttora funzionante, di un gabinetto di mineralogia e di una raccolta di strumenti e carte nautiche.
All’alba della Restaurazione, dopo la morte di Gian Pietro Camillo, il palco venne ereditato dal figlio, il marchese Alessandro Isimbardi (1769-1821), che unì il proprio casato a quello dei D’Adda sposando nel 1794 la nobildonna Maria d’Adda. Dei tre figli avuti dal matrimonio, l’ultimo e unico maschio, Pietro (1799-1878), ereditò come di consueto titoli, patrimonio e palco, rimanendone proprietario fino alla morte. Amministratore oculato dei propri beni, Pietro si interessò di arte e beneficenza, commissionando, tra i tanti dipinti, il “Gesù Crocifisso con Maddalena” di Francesco Hayez, donandolo poi alla Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo a Muggiò. Il dipinto oggi è al Museo Diocesano. Dal matrimonio con Luigia Litta Modignani ebbe una sola figlia, Maria, che andò sposa a Giovanni d’Adda.
Durante i festeggiamenti del Natale 1850, quando la famiglia era riunita presso la dimora di Muggiò, la giovane donna, appena ventitreenne, morì improvvisamente lasciando soli il marito Giovanni e il piccolo figlio Emanuele d’Adda (1847-1911). Questi, ben presto orfano anche del padre e unico erede, fu allevato in casa dello zio paterno Carlo, personalità di spicco dell’Italia risorgimentale: esule a Parigi dopo le Cinque Giornate di Milano, conobbe Cavour e divenne amico del liberale Bettino Ricasoli. Il marchesino Emanuele respirò le ventate patriottiche di quegli anni e aderì ben presto alla causa dell’indipendenza nazionale, arruolandosi volontario con i cavalleggeri di Aosta nel 1866; e continuò poi nella sua vita ad impegnarsi su più fronti nella filantropia. Membro della Società d’incoraggiamento d’Arti e Mestieri, amministratore competente dell’ingente patrimonio fondiario di famiglia, cui si era aggiunto quello degli Isimbardi in Lomellina, Emanuele d’Adda si spese con impegno anche in politica: sostenitore di Depretis contro Crispi, divenne senatore sotto il governo Giolitti. La moglie Beatrice Trotti Bentivoglio, sposata nel 1875, lo sostenne e fu in prima persona coinvolta nelle opere di solidarietà sociale, attiva nei movimenti a favore dell’occupazione femminile. Alla sua morte, non avendo avuto figli, con loro si estinse il ramo principale della famiglia Isimbardi.
Al di là delle numerose donazioni a istituzioni benefiche, ai propri dipendenti e agli affittuari, il patrimonio, i titoli nobiliari, lo stesso cognome e il palco passarono in eredità nel 1917 al cugino Febo Borromeo d’Adda (1871-1945), figlio della zia paterna Costanza e di Carlo Borromeo Arese. Questi, come gli altri esponenti e predecessori della sua famiglia, si impegnò tanto nella beneficenza quanto nella politica. Fu consigliere dell’Istituto Nazionale Vittorio Emanuele III per lo studio e la cura del cancro, sostenitore della causa neutralista durante la prima guerra mondiale, presidente della Croce Rossa Italiana. Sostenitore, fin da giovanissimo, della Destra storica, coprì durante la sua carriera politica numerose cariche: consigliere provinciale, sindaco di Oreno e Cassano d’Adda, deputato del Regno d’Italia dal 1913 e senatore dal 1939. Febo Borromeo D’Adda fu l’ultimo proprietario del palco, sino al 1920 quando, in seguito alla delibera del Consiglio Comunale, avvenne la cessione dei palchi al Comune di Milano e si costituì l´Ente autonomo Teatro alla Scala.

Maria Grazia Campisi (M.G.C.)

Proprietari