Teatro Alla Scala di Milano

Un palco diviso a metà

Palco n° 14, I ordine, settore sinistro
6
Uomini
4
Donne
9
Nobili
2
Imprenditori
1
Benefattori
1
Professionisti

Già nel 1778, all’inaugurazione del nuovo teatro, la proprietà del palco era condivisa da due blasonati personaggi della Milano dell’epoca: il conte Benedetto Arese Lucini (1734-1804) e il conte Pietro de Capitaneo o de Capitani (?-1784?). Il primo, sposando Margherita Lucini, aveva aggiunto il cognome della moglie a quello della propria casata e ne aveva avuto due figli: Francesco, coinvolto nel processo dei carbonari, e Marco, marito di Antonietta Fagnani, ben nota per i suoi rapporti con Ugo Foscolo.
Pirro de Capitaneo (1742-1807), quinto conte di Concorezzo, forse nipote di Pietro, aveva invece sposato Costanza Fornara avendone quattro figli. Durante le alterne vicende napoleoniche, con il ritorno degli austriaci, il conte aveva creato un affaire diplomatico, avendo protestato e denunciato il proprio parroco Frigerio per aver rimosso lo stemma gentilizio della famiglia, da generazioni ai piedi della croce della parrocchia di Concorezzo. La questione della destituzione del blasone, poi archiviata, sarebbe stata però emblematica delle sorti del casato. Morto Pirro nel 1807, i de Capitaneo sarebbero stati destinati all’estinzione nel giro di una generazione.
Nel 1821 l’acquisto della parte degli Arese Lucini rende proprietario unico Giovanni Battista de Capitaneo (1772-1836); dalla salute precaria, fu costretto ad affidare la gestione di tutti i suoi affari alla moglie Giovanna Serbelloni Sfondrati (1778-1854), cognome nato dalla donazione ereditaria dell’ultimo Sfondrati, Carlo, all’amico Alessandro Serbelloni. Giovanna divenne quindi procuratrice e amministratrice generale del VI conte di Concorezzo, ma la situazione economica e familiare era comunque destinata al declino. L’unico figlio maschio, Pirro, causò alla madre preoccupazioni non da poco e conseguenti traffici diplomatici per risolvere gli imbarazzanti guai politici in cui si era imbattuto: partecipe di una missione clandestina nel 1821 e dei moti di Torino, andò in esilio in Spagna, poi fu condannato a morte ma la pena venne convertita in sei mesi di detenzione. Morì a soli 37 anni e celibe, due anni prima del padre. Anche lo zio, Carlo Pietro sarebbe morto senza eredi per encefalite, causando la fine dei de Capitaneo.
Fu il ramo femminile a far ripartire la genealogia: Giovanna, nominata dall’Imperatrice Maria Teresa dama di palazzo e dama dell’ordine della Croce Stellata, si risposò in seconde nozze con il conte Luigi Attendolo Bolognini. Una delle figlie, Rosina Giovanna de Capitaneo, nata nel 1801, coniugata con Luigi Leandro Carcano, ebbe un unico figlio, Alfredo Giuseppe (1825-1900), Cavaliere dell’Ordine di Malta, proprietario del palazzo in via S. Pietro all’Orto, Segretario di governo, cui si deve la genealogia dei Capitani di Scalve, titolati “cittadini di Bergamo, patrizi milanesi, conti di Concorezzo, grandi di Spagna di I classe, nobili della città di Locarno” fino ad arrivare a Francesco Lorenzo Albertoni (1852-1908) e Uberto Muzio Albertoni.
È proprio a Francesco Lorenzo, presidente della Società di mutuo soccorso degli operai della Val di Scalve, che venne ufficialmente intestato il palco nel 1904. Il suo ricco patrimonio librario fu donato al Comune di Cremona. Il palco passa poi alla vedova Albertoni, contessa Giovanna Amalia “Giana” e dal 1914 al 1920 a Carlo Moretti, ingegnere, esponente di quella borghesia imprenditoriale e industriale che affiancherà l´aristocrazia nell’Italia fascista.

Maria Grazia Campisi (M.G.C.)

Proprietari