Tra politica e cronaca rosa
Quando nel 1778 veniva aperto al pubblico il Nuovo Teatro Grande alla Scala decadevano i contratti con gli “appaltatori” del vecchio Teatro Ducale. Erano questi i cosiddetti impresari in gergo settecentesco, cui subentrarono nei primi dieci anni di storia del nuovo teatro i Nobili Cavalieri Associati, una rappresentanza del Corpo generale dei proprietari dei palchi.
Gli Interessati nel scaduto appalto, ossia i vecchi impresari, ebbero però riservato uno spazio nel nuovo teatro scaligero e precisamente nel palco di proscenio del quarto ordine sinistro e lo mantennero con tutta certezza fino al 1796. Erano questi i fratelli Crivelli e il barone Federico Castiglione, ispettore del Teatro Ducale e vicedirettore dello stesso per nomina governativa.
«La prova di domani è in Theatro ma l’Impresario, il Sig. Castiglioni, si è raccomandato affinché non ne facessi parola, altrimenti la gente vi accorrerebbe a frotte, e questo non lo vogliamo». Si trattava della prova di Lucio Silla e a scrivere era proprio W.A. Mozart, al quale gli appaltatori avevano commissionato l’opera per il Carnevale del 1773, dopo il successo di Mitridate, Re del Ponto.
Con l’arrivo di Bonaparte in Italia nel 1796 mutarono le disposizioni tra le file del teatro. A sedere nel palco di proscenio in questione, al posto della vecchia guardia di impresari, diretta emanazione del governo austriaco, fu l’avvocato Sigismondo Ruga (1752-1829), niente meno che uno del triumvirato alla guida del Comitato di governo della Repubblica Cisalpina. Originario di Gozzano, ancora è lì ricordato: «amico ugualmente di Temide, che di Cerere e Pomona, al cui servizio sta occupata gran parte di quella popolazione; che giustamente lo chiama il pubblico benefattore, il mecenate, l’amico dei poveri coloni». Fedele alla causa francese, aveva offerto al nuovo governo la propria casa, ospitando più volte Napoleone e la madre, e, come sostenevano alcuni malignamente, aveva concesso anche la propria moglie Paola Frapolli Zanetti, che si diceva essere l’amante del Generale Murat, Re di Napoli. “Rugabella”, come era soprannominata, era una donna affascinante e anche Ugo Foscolo ne scrive in una lettera all’amico Sigismondo Trechi: «Tornato a casa, mi si è detto che la Ruga si lasciava vedere dinanzi alle mie finestre; non per questo ho voluto aprir le persiane, né far due passi per sentirmi strofinar mollemente ne’ ripostigli della mia immaginazione amorosa la bella lanugine che le corona l’orlo del labbro…».
Altrettanto bella se non di più fu la moglie di Carlo Ruga (1799-?), figlio di Sigismondo, che ereditò il palco dal padre, comparendo nelle fonti dal 1837. Margherita Tealdo «dalla tinta bruna orientale, dal profilo di cammeo, dai lampi neri degli occhi, dalla bocca rossa come il sangue, dalle forme fidiache del corpo maestoso, raggiava malie. Pareva Rebecca.» scrive Raffaello Barbiera nel suo "Passioni del Risorgimento". Patriota come la figlia Selene, fu l’amante del principe Emilio di Belgiojoso, già consorte di Cristina Trivulzio , e poi del conte Vincenzo Toffetti, che si innamorò con una passione che vinse il tempo, facendosi addirittura frate alla morte di lei. Carlo Ruga, un po’ come il padre Sigismondo, fu quindi «un buon uomo, uno di tanti personaggi che non parlano».
Nel 1858 il proscenio venne ceduto a un altro principe del foro, Agostino Sopransi (1789-1863), figlio del barone Luigi che era stato avvocato di Giacomo Melzi d’Eril. Durante il governo militare nel 1848 era stato designato podestà dal Consiglio comunale, ma la Guardia Nazionale chiese che si dimettesse, non vedendo di buon occhio che don Agostino fosse cognato del generale Franz Ludwig von Welden, comandante austriaco delle truppe imperiali nel Veneto. Gli successe quindi al governo cittadino Paolo Bassi, che vide l’epilogo delle Cinque Giornate, con la consegna delle chiavi della città a Radetzky.
Morto l’avvocato Sopransi, lasciando ben 40.000 lire di beneficenza, il palco divenne e rimase fino alla fine nel 1920 proprietà dei Lattuada, i fratelli Stefano, Carlo e Francesco, droghieri e negozianti con l’insegna “Indaco e generi di tintoria Milano” in via Monforte 4. L’asse ereditario seguì prima Francesco e poi Anna, maritata Talamona, benefattrice dell’Istituto dei Ciechi di Milano.
Il palco di proscenio del IV ordine sinistro racconta - come tanti altri palchi - la Milano a cavallo tra due secoli, terminando la sua storia nel 1920, quando si avviò alla fine la proprietà privata dei palchi, acquisiti dal Comune di Milano, e si costituì l´Ente autonomo Teatro alla Scala.
Maria Grazia Campisi (M.G.C.)
Proprietari
- Associazione dei palchettisti 1778-1784|1787-1790|1793-1796
- Castiglioni, Federico Nobili, FunzionariNobili, Funzionari1791-1792
- Lattuada, Carlo ImprenditoriImprenditori1864-1872
- Lattuada, Francesco ImprenditoriImprenditori1864-1885
- Lattuada, Stefano ImprenditoriImprenditori1864-1872
- Ruga, Carlo 1837|1839-1848|1852|1856-1857
- Ruga, Sigismondo ProfessionistiProfessionisti1809-1810|1813-1815|1817-1836|1838
- Sopransi, Agostino Nobili, Patrioti, Benefattori, ProfessionistiNobili, Patrioti, Benefattori, Professionisti1858-1863
- Talamona Lattuada, Anna BenefattoriBenefattori1886-1920