Gioco d'azzardo
Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, il gioco d’azzardo alla Scala si pratica regolarmente nel ridotto dei palchi, come fuga dall’opera ma anche come sostentamento della stagione.
Gli austriaci lo avevano proibito ovunque tranne che nei teatri d’opera, mentre i francesi, accorgendosi dell’importanza di tale attività per le casse dello Stato, lo legalizzarono. Questo spiega la proliferazione di sale da gioco a Milano nel primo decennio del XIX secolo. La Scala era sicuramente il luogo d’elezione dei giocatori appartenenti alle classi più agiate: il ridotto ospitava tavoli fa gioco che ben presto diventarono una delle maggiori attrazioni del Teatro. Sono rimasti celebri i versi dell’abate Giuseppe Parini, poeta critico verso i privilegi nobiliari: “L’esecrabile ridotto, laddove un uomo ricco sfondolato, sur una carta spiantasi di botto”. Anche Alessandro Manzoni frequentava ridotto per la passione del gioco, come raccontano le cronache. Si dice che sia stato il poeta Vincenzo Monti a riportarlo sulla retta via.
Inizialmente il gioco preferito era la Tavola Reale, poi si affermò il Faraone, di cui si occupò anche Cesare Beccaria, sulla rivista «Il Caffè», con uno studio sui calcoli delle probabilità delle vincite. Il responsabile dell’attività, l’appaltatore, si occupava di fornire carte e dadi, oltre che di raccogliere gli incassi da girare alle autorità. Nel 1805 l’impresario Francesco Benedetto Ricci subappaltò i tavoli da gioco a Domenico Barbaja, futuro impresario della Scala e del San Carlo di Napoli. Con il ritorno degli austriaci, nel 1815, il gioco venne definitivamente soppresso.
(Mattia Palma)