Teatro Alla Scala di Milano

Il palco delle “Stelline”

Palco n° 14, I ordine, settore destro
7
Uomini
2
Donne
2
Enti
8
Nobili
1
Patrioti
2
Benefattori
1
Professionisti
2
Funzionari

Per molti anni, dal 1881 sino al 1920, il palco appartenne all’Orfanotrofio femminile, unico tra tutti i palchi scaligeri a essere destinato alla pia istituzione milanese: non esiste per esempio un palco assegnato ai Martinitt, ovvero ai maschi orfani. Perché? Il motivo risiede nella storia di una donna benefattrice, che compare sulla scena alla metà del secolo… ma procediamo con ordine.
Dalla fondazione del Teatro al 1796 il palco appartenne alla nobile famiglia dei Cusani Visconti, marchesi di Chignolo, oggi Chignolo Po, in provincia di Pavia, dominata dal maestoso castello Cusani Visconti, “la Versailles di Lombardia”. Non è un caso che i Cusani vollero personalizzare con raffinate scelte di materiali l’arredo del loro palco, come ci spiega Giuseppe Morazzoni nel suo testo dedicato ai palchi del teatro alla Scala, preziosa testimonianza degli anni Trenta, scritta prima che le bombe del 1943 danneggiassero profondamente il teatro: era rivestito di seta celeste, sotto la quale, per fodera alla parete era stata incollata non volgarissima carta da imballaggio, ma fine carta stampata a colori e vaghi disegni floreali, assai probabilmente preparata dal Remondini di Bassano. Dal fondo bianco si staccano vivaci, freschi e semplici fiori di campo, rosa gialli, celesti di una policromia così bene intonata da far invidia ad un broccato di Venezia.
Tre i proprietari che condivisero questo palco: Carlo Cusani Visconti (1705-1784) consignore di Chignolo, coniugato con Barbara Maschera; Francesco (1729-1815), confermato Marchese e Magnate d’Ungheria, coniugato a Parigi nel 1766 con Domenica Rosa Hosler (o Hessler) e, rimasto vedovo nel 1794, con Giovanna Lampugnani “donna di bassa condizione”; Ferdinando (1737-1816), che aveva impalmato la nobilissima Claudia Litta Visconti Arese, appartenente al Gotha della nobiltà lombarda, figlia di Pompeo Giulio Litta e Maria Elisabetta Visconti Borromeo. Carlo era figlio del marchese Luigi Cusani e di Isabella Besozzi, Francesco era figlio di Giacomo e Juliane Josefa von Nesselrode, Ferdinando era invece figlio di Don Gerolamo e di donna Josepha de Silva y Aragon, che, nata nel 1706, morì di parto trentunenne dandolo alla luce.
Alla morte di Carlo, nel 1784, la sua parte di palco, un terzo, venne ereditata dall’ultimo dei suoi tre figli, l’unico rimasto vivo, Cesare Cusani (1748-1818) che, sposando in prime nozze Maria Teresa figlia del marchese Don Pietro Brivio e di Marianna Confalonieri assumerà, secondo il desiderio del padre, il cognome Cusani Confalonieri. Coniugato in seconde nozze con CarlottaCarlotta Terzaghi dei conti Merlini, Cesare ricoprì diversi incarichi pubblici durante la Repubblica Cisalpina.
Un atto del notaio Giorgio Sacchi, datato 22 dicembre 1807 e conservato all´Archivio di stato di Milano, attesta la vendita del palco scaligero al “borghese” Pietro Castelli, iscritto all’ordine degli ingegneri civili di Milano. Nello stesso atto i marchesi Cusani vendono un altro palco, anch’esso nel primo ordine ma nel Teatro della Canobbiana: l’acquirente è il “regio architetto” Luigi Canonica, succeduto in questa carica a Giuseppe Piermarini. La considerevole differenza di prezzo tra i due palchi - 24.000 lire per il primo, 6.000 per il secondo - da sola indica il differente prestigio dei due teatri.
Dall’ottobre 1822 e sempre con rogito del notaio Sacchi, il proprietario tornò ad essere un rappresentante della nobiltà lombarda: Alessandro Terzaghi, marchese di Gorla Maggiore (1777-1850). Alla sua morte destinò oblazioni cospicue a diverse istituzioni milanesi, fra cui l’Istituto dei Ciechi e il nuovo Ospedale Fatebenefratelli. Intestatario del palco dopo il 1850 risulta il nipote Luigi (1816-1871) insieme a Carlotta Terzaghi ultima discendente della nobile famiglia. La Terzaghi (1813-1881) figura come tra le più note e generose benefattrici del suo tempo, soprattutto nei confronti dell’infanzia; molte scuole materne portano ancora il suo nome. Quando morì, nubile, lasciò i suoi beni a "orfane appartenenti a famiglie povere milanesi, avendo così stabile decennale domicilio...".
Il palco viene lasciato in beneficenza prima al Consiglio degli Istituti Ospitalieri, l’organo amministrativo di tutte le realtà solidali nel contesto cittadino, poi all’Orfanotrofio femminile. Ospitato nel palazzo di Corso Magenta che prende il nome dall’antico monastero delle suore Benedettine di Santa Maria della Stella, soppresso e ufficialmente dedicato alle orfane da Maria Teresa d’Austria, l’orfanotrofio ospitò quelle che ancor oggi sono note come “le Stelline, in contrapposizione con gli orfani maschi, i leggendari Martinitt. Le bambine, orfane almeno di padre e di famiglie nullatenenti, venivano educate, indirizzate a una professione, munite di una dote per eventuale matrimonio: i soldi per il loro mantenimento che durava all’incirca dieci anni provenivano dalla beneficenza. Non dobbiamo pensare però che fossero le orfanelle, nella loro divisa di festa, a recarsi a veder balli e opere in Scala. Possedere un palco significava avere la possibilità di affittarlo o di averee un rientro di immagine nel caso si offrisse a eminenti personalità. Una rendita attiva che contribuiva non poco al mantenimento delle fanciulle.
L’orfanotrofio femminile risulta intestatario sino al 1920, anno in cui il Comune di Milano inizia l´esproprio dei palchi privati e si costituisce l´Ente autonomo Teatro alla Scala.

Giulia Ferraro (G.F.)

Proprietari